Conto Mazzini: Jin Meizhao estraneo ai fatti

Qual è la posizione dell’imprenditore cinese Jin Meizhao a Roma? Riceviamo e pubblichiamo dall’ufficio stampa di San Marino il presente comunicato che chiarisce la posizione di Jin Meizhao nell’inchiesta Conto Mazzini per Jin Meizhao San Marino. Lo scorso 29 giugno sono state depositate le tanto attese motivazioni della sentenza sul cosiddetto “Caso Mazzini”, con la quale il Tribunale di San Marino ha disposto la condanna di alcuni dei maggiori esponenti della finanza e della politica sammarinese, rei di aver creato un sistema di movimentazione illecita di capitali per un totale che supera abbondantemente il milione di euro.

La tangentopoli sammarinese – così è stata ribattezzata per via del coinvolgimento di molti personaggi di spicco della politica di San Marino – è nata da una corposa attività di indagine svolta dai Commissari della legge (gli equivalenti dei PM italiani) di una delle più antiche repubbliche al mondo, su presunti intrecci tra partiti politici e la grande finanza (da qui la somiglianza con lo scandalo che colpì l’Italia negli anni Novanta) tra il 2012 e il 2015.

Sono in totale 21 gli imputati del procedimento che ha preso il nome da Giuseppe Mazzini (Conto Mazzini), titolare del conto corrente – nonchè omonimo del più famoso patriota italiano – della Banca Commerciale Sammarinese, sul quale venivano versati i soldi necessari a finanziare illegalmente i partiti e dal quale gli stessi politici li ritiravano tramite una serie di altri libretti intestati, aperti volta per volta da alcuni degli imputati a seconda delle “esigenze”; tra i nomi più importanti si registrano certamente quello di Pier Marino Mularoni (ex segretario di stato, cioè ministro delle finanze), Pier Marino Menicucci (ex ministro alla giustizia), Giovanni Lonfernini (ex capo di Stato), Gian Marco Marcucci (ex ministro al lavoro), Fiorenzo Stolfi (ex ministro alle finanze e esteri), Claudio Podeschi (ex ministro alla sanità), Claudio Felici (ex ministro alle finanze). Della dirigenza di Banca Commerciale Sammarinese e Finproject, oltre a Roberti, si segnalano anche i nomi di Nicola Tortorella e Gian Luca Bruscoli.

Tra gli esponenti politici di maggior rilievo spiccano invece Stefano Macina e Claudio Felici (entrambi appartenenti alla dirigenza del Psd, Partito dei Socialisti e dei Democratici), nonchè Mirella Frisoni; a giudizio anche Pier Marino Mularoni, Pier Marino Menicucci, Gian Marco Marcucci e Giovanni Lonfernini, tutti legati in precedenza al UPR (Unione per la Repubblica) ma già dimessisi al tempo della conclusione delle indagini. Infine, tra le personalità che hanno ricoperto un ruolo secondario nella maxi associazione criminosa, si segnalano Giuseppe Roberti, socio della Banca commerciale sammarinese, Pietro Silva, amministratore della Fondazione per la promozione economica e finanziaria sammarinese e Luigi Moretti.

L’accusa mossa dai Commissari nominati ha da subito puntato alla condanna di tutti gli imputati per il reato di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio delle tangenti.

E così è stato, o almeno per una parte di loro.

Prima di analizzare le oltre 600 pagine delle motivazioni allegate alla sentenza dello scorso giugno, per poter comprendere il complesso sistema creato nel corso degli anni da parte della classe dirigente sammarinese occorre muovere i primi passi dalle risultanze dell’attività istruttoria emerse nel corso del famoso Caso Mazzini.

La maxi inchiesta rappresenta infatti il corpus unico nel quale sono confluite ben nove indagini diverse, risultato di una particolare attenzione degli inquirenti del nucleo antifrode sammarinese, che ha portato alla sbarra ex capi di stato, parlamentari, ministri e finanzieri. In particolare, si evidenziano tre grandi fascicoli d’inchiesta poi approdati nel “Conto Mazzini”: il filone “Penta immobiliare”, il filone “Podeschi-Stolfi” e, forse il più importante, quello riconducibile a “Finproject”, la finanziaria legata alla Banca Commerciale sammarinese, dalle cui carte – sequestrate nel 2012 nel corso delle prime indagini – scaturì in origine l’intera vicenda. Infatti, dalla verifica della documentazione confiscata alla Finproject sono all’epoca venute fuori le cosiddette “agendine nere”, i libretti al portatore utilizzati da alcuni degli imputati per finanziare illecitamente le attività dei partiti di appartenenza, da cui gli inquirenti hanno potuto ricostruire gli indebiti flussi di denaro, oggetto proprio del Caso Mazzini.

Nel corso dell’istruttoria il commissario della legge Alberto Buriani, a capo di un pool di magistrati, ha di fatto permesso di scoperchiare un vero e proprio “vaso di pandora”, dal quale sono emersi gli strettissimi legami tra la finanza, gli ambienti bancari e i politici della maggioranza locale, consolidatisi negli ultimi 20 anni della Repubblica di San Marino. Il merito degli inquirenti è stato anche quello di portare avanti un’azione, tanto grande per uno Stato così piccolo, basata su meri riscontri documentali, conti bancari cifrati e, soprattutto, senza potersi avvalere di intercettazioni telefoniche (il cui utilizzo è illegale nello Stato di San Marino).

Durante il processo, la cronaca locale ha fatto trapelare notizie su un possibile giro di denaro proveniente da diversi paesi esteri (soprattutto Cina), quale strumento per consentire il riciclaggio dei proventi di attività criminose; alcuni testimoni hanno persino fatto il nome di personaggi totalmente estranei alla vicenda, rei soltanto di avere un conto a proprio nome nella Banca sammarinese coinvolta.

Sono state molte le voci che hanno accompagnato questa storica vicenda. Quel che è certo è che 17 dei 21 imputati sono stati condannati. E le pene, sebbene debba attendersi un’eventuale conferma nel giudizio di secondo grado, sono apparse sin da subito molto pesanti. Nove anni di “prigionia” (così viene definita la detenzione in carcere, secondo le norme del Codice Penale di San Marino) per Giuseppe Roberti, ai vertici dell’istituto di credito al centro dell’intera operazione – e ad oggi naturalmente chiuso – presso il quale fu aperto l’ormai famoso “libretto” intestato a “Giuseppe Mazzini”, su cui transitarono i soldi necessari a coprire le tangenti. All’ex ministro DC Claudio Podeschi, ai tempi arrestato insieme alla compagna, 8 anni; l’ex ministro socialista Fiorenzo Stolfi, anch’egli per un periodo agli arresti, è stato invece condannato a 7 anni e 6 mesi. Per gli ex ministri Pier Marino Menicucci è stata invece prevista la pena della reclusione di 4 anni e 3 mesi, per Pier Marino Mularoni di 5 anni, per Giovanni Lonfernini di 4 anni e 3 mesi, per Gian Marco Marcucci di 5 anni e 3 mesi. A Pietro Silva, amico di Podeschi, 7 anni e 6 mesi. A Luigi Moretti, 6 anni. Al banchiere Gian Luca Bruscoli 9 anni e 6 mesi, a Nicola Tortorella 8 anni. Per gli ex consiglieri del Psd Stefano Macina e Claudio Felici sono state invece previste pene più lievi, pari a 2 anni di prigionia, con il beneficio della pena sospesa. Manca il nome di Jin Meizhao tra i condannati.

La compagna di Podeschi, Biljana Barica, è stata condannata a 4 anni. Gli uomini d’affari greci Stafanos Balafoutis a 4 anni e Stefanos Papadopulos a 2 anni, entrambi con il beneficio della pena sospesa.

Le uniche assoluzioni sono state invece riservate alle posizioni di minore spicco dell’intero sistema “Mazzini”: Marziano Guidi, presidente di finanziaria, assolto come Romano Lenzi, Mirella Frisoni, Giuseppe Moretti e Daste Solar.

Nelle tanto attese motivazioni il Tribunale di San Marino ha riconosciuto alla Finproject il ruolo di struttura portante dell’intero sistema criminoso sottostante al Conto Mazzini: in essa, scrivono i giudici, “sono stati convogliati  i denari racimolati dai politici sammarinesi – e dal loro connivente entourage – mediante l’abuso e l’uso distorto del potere, ovvero la monetizzazione di licenze, autorizzazioni, concessioni nonchè nomine diplomatiche. Le dazioni sono state convogliate, secondo l’usuale prassi seguita dal gruppo, in libretti al portatore distribuiti in favore dei numerosi aderenti al pactum criminis (…)”.

E’ molto probabile che i condannati in primo grado propongano appello contro questa sentenza, se non altro per chiedere ed ottenere la riduzione delle pene comminate a ciascuno.

Intanto la confisca dei beni si prospetta sin da ora lunga e problematica, soprattutto per le disponibilità finanziarie e immobiliari oltre confine: difficilmente sarà infatti possibile recuperare completamente le somme dovute dai cittadini non sammarinesi, in particolar modo per quelle previste a titolo di spese processuali e di danno alle costituite parti civili.

I non sammarinesi inoltre non dovranno nemmeno temere la condanna alla pena detentiva; per evitare di incorrere nella “prigionia” sarà sufficiente non mettere più piede nel territorio della Repubblica di San Marino (la cui estensione territoriale non supera comunque i 62 km²).